DAVIDE PALUDETTO – TORINO

Dal testo di Micol Di Veroli in occasione della mostra Arrivederci al MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma febbraio 2017
L’opera a parete Arrivederci composta da margherite eseguite all’uncinetto da un gruppo di aiutanti esperte, rappresenta una sorta di rito di espiazione collettivo che idealmente si ricollega a tradizioni
antiche dal sapore famigliare.
Dopo un primo momento di stordimento e smarrimento ci si sporge una seconda volta a guardare la moltitudine di margherite che sovrasta lo sguardo e si trovano nuove energie come se si trattasse di un rituale catartico dove abbandonare od alleviare le proprie pene e da qui ripartire per nuove esperienze.
Daniela Perego formula il pensiero di un arrivederci inteso come orizzonte definito dalla spasmodica ricerca di un principio trascendente che doni un senso compiuto all’esperienza umana. Una divisione in termini tra l’uomo ed il resto dell’assente, con tutto ciò che quest’ultimo rappresenta ed ha rappresentato. Tale commiato diviene invenzione dell’archeologia del pensiero, si struttura attraverso archetipi personali e collettivi, contraddizioni e solitudini che si intrecciano in un sinfonia dettata da consonanze e dissonanze. L’abbandono inteso quindi come ennesimo inizio incapace di rendere ragione della propria ragione. Mentre il rapporto tra nichilismo e comunità si deduce spesso attraverso il nulla rappresentato dal reciproco abbandono come perdita di presenza vera ed originaria, le opere di Daniela Perego sembrano uscire dal nichilismo e restaurare il senso ultimo di ogni senso. Questo poiché la nostalgia di un senso non presente, produce essa stessa un senso, non solamente negandolo ma trasformando il momento di commiato in una reificazione di senso, inteso così nell’esser messi a nudo gli uni di fronte agli altri o per meglio dire, gli uni di fronte all’assenza degli altri. Sorreggersi agli altri, poiché nessuno è in grado di sostenere il peso dell’esistenza, questo non significa di certo che gli altri rappresentino il contenuto di ogni cosa bensì l’elemento di
completamento, all’interno del quale si possono produrre e far circolare significati.
La nostra esistenza si basa dunque sulla persistenza, nello spazio prima e nel ricordo poi, la persistenza è quindi un movimento, passaggio che attraversa la presenza medesima e con essa l’abbandono che è pur esso un movimento. Questa circolazione ambivalente del pensiero di una presenza o di un abbandono attraverso la memoria manifesta la realtà della sua eternità in quanto verità del suo passaggio. Ecco quindi Daniela Perego riafferma che la presenza non ha bisogno di avere senso ma è generatrice di senso. Senza l’abbandono la presenza sarebbe pura astrazione, in nessun modo considerabile parte della realtà. Essa non sarebbe percepita all’interno dell’esperienza e non potrebbe nemmeno essere concepita all’interno del pensiero se non esistesse una reale controparte all’interno dello spazio e del tempo. Così come la realtà della presenza ricorda ad ogni essere umano l’esistere dell’assenza, la coscienza di un’assenza ricorda l’esistenza di una presenza. Questo interscambio è una condizione assoluta, un avanzamento progressivo e non lineare all’interno di ogni vissuto, una sorta di lento rimando senza tracciato che trasforma tutto in punto di origine senza compimento finale.
Daniela Perego, all’interno delle sue installazioni, insegue il continuo e giunge al transfinito, vale a dire che la moltitudine di insieme degli elementi costituitivi di ogni sua opera sono indici del tempo e non della serializzazione e spalancano la finestra a qualcosa di molto simile all’infinito. Ogni margherita diviene quindi un’estensione necessaria in sé stessa, una filiazione botanica che di fatto simboleggia innocenza e devozione. Un’opera che pensa e si alimenta della sua forma estesa, creando una relazione enfatica con la realtà dove si allungano possibilità di astrazione. Se tutto ciò che riusciamo a comprendere di un’opera d’arte è relativo ad un universo tangibile o concettuale, Daniela Perego sposta la discussione sul piano della teoretica del sentimento, dove il problema della conoscenza amplifica ogni manifestazione di intelligenza emotiva e sociale. Si tratta di un processo squisitamente spirituale che rientra nello spettro e nel tessuto delle esperienze vissute.
La risposta al nulla è una tecnica di approccio positivo al distacco, non più inteso come fallimento ma come processo inevitabile dell’esistenza che può e deve generare qualcosa d’altro. Le margherite, nel loro muto eppur solido candore, gettano un ponte da sbarco per congiungere storie.

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